La successione ereditaria si apre con la morte del soggetto e consiste nel trasferimento della titolarità di tutti i rapporti patrimoniali, attivi e passivi, agli eredi.
In tal modo gli eredi subentrano sia nelle utilità sia nelle passività del defunto.
Quali sono gli eredi secondo la legge e il testamento
La chiamata ereditaria opera a favore dei soggetti previsti dalla legge ovvero di quelli previsti dal testatore, a seconda che si tratti di successione legittima o successione testamentaria.
Nella successione legittima l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi e naturali (la presenza di moglie e figli esclude ogni altro successibile), agli ascendenti legittimi (genitori, nonni), ai collaterali , agli altri parenti (fino al sesto grado) e infine, in loro mancanza, allo Stato.
In presenza di un testamento i chiamati sono liberamente individuabili da parte del testatore, tranne nell’ipotesi in cui siano presenti i cosiddetti soggetti “legittimari”, che non possono essere esclusi.
I legittimari infatti sono le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione.
Essi sono individuati nelle seguenti categorie: il coniuge , i figli legittimi , i figli naturali , gli ascendenti legittimi.
Per diventare eredi non è sufficiente essere indicati tali dalla legge o dal defunto.
Il primo passo da compiere per diventare eredi ed essere considerati successori del defunto, subentrando nel suo patrimonio sia dal lato attivo sia da quello passivo, è quello di svolgere l’accettazione dell’eredità.
Il termine per accettare è di 10 anni e una volta accettata l’eredità l’erede non può più tornare indietro, avendo acquisito per sempre la qualità di successore del de cuius (defunto). Questo rileva in presenza di debiti ereditari, perché l’erede non potrà più sottrarsi dal loro pagamento.
L’accettazione avviene in due modi: espressamente o tacitamente.
La seconda forma (accettazione tacita) può essere considerata quella più pericolosa, nell’ipotesi in cui l’eredità contenga dei debiti. Infatti l’accettazione tacita avviene automaticamente, senza necessità di svolgere atti formali.
Essa si verifica per legge allorché i chiamati all’eredità compiano degli atti materiali cui la legge ricollega in automatico l’effetto dell’accettazione, senza necessità di una manifestazione espressa di volontà da parte del soggetto.
Questa forma di accettazione avviene con il possesso dei beni ereditari per un periodo superiore ai tre mesi oppure con il compimento di un’attività che presuppone la qualità di erede. Per esempio sarà sufficiente l’occupazione della casa di residenza del defunto per più di 3 mesi per essere considerati eredi puri e semplici (questo caso si verifica molto spesso in danno dei familiari del defunto, tipico il caso di coniuge e figli conviventi con lo stesso). Altre ipotesi si possono verificare allorché i chiamati all’eredità manifestino a terzi la loro qualità di eredi pretendendo di gestire il patrimonio del defunto (come nel caso in cui moglie e figli scrivano alla banca in cui il defunto aveva rapporti o all’Inps, chiedendo la liquidazione delle somme che spettano al defunto).
In tali evenienze la legge dà prevalenza alla manifestazione per fatti concludenti della qualità di eredi, in quanto la richiesta di appropriazione dei beni il defunto presuppone di esserne i successori universali. Altrimenti quei soggetti non sarebbero legittimati a chiedere quanto pretendono.
L’altra forma di accettazione è quella espressa che sia attua con un atto formale, quale l’accettazione davanti al notaio o il cancelliere del tribunale.
Il beneficio d’inventario
L’accettazione dell’eredità può essere pura e semplice oppure beneficiata.
La prima forma è automatica (non necessita di iniziative particolari) e comporta per l’erede l’assunzione di responsabilità con tutto il suo patrimonio per eventuali debiti del defunto.
La seconda forma serve per limitare gli effetti negativi di un’eredità che contenga anche passività: col beneficio d’inventario l’erede limita la propria responsabilità a quanto ha ricevuto con l’eredità stessa, salvando così il suo patrimonio personale preesistente alla successione (art. 490 c.c.).
Come e quando si accetta col beneficio.
Il beneficio dell’inventario si chiede nel momento in cui si accetta l’eredità.
Quindi, ricordando le due forme di accettazione espressa e tacita, sarà opportuno fare molta attenzione nelle ipotesi in cui gli eredi siano nel possesso dei beni del defunto: infatti l’accettazione col beneficio andrà svolta entro i tre mesi dall’apertura della successione (quindi dalla morte del soggetto), altrimenti saranno considerati eredi puri e semplici e dovranno rispondere dei debiti con tutto il loro patrimonio.
Per quanto riguarda la forma, l’accettazione beneficiata va fatta o davanti al notaio o davanti al cancelliere del tribunale competente per territorio (che è quello del luogo ove si è aperta la successione).
Quando tra gli eredi ci sono dei minori, l’accettazione col beneficio dell’inventario è obbligatoria, essendo l’unica forma di accettazione consentita per essi (art. 471 c.c.).
L’ipotesi più frequente si ha quando ci siano figli minorenni che succedono al padre o alla madre premorti.
Il termine entro il quale i minori possono accettare l’eredità è il compimento dei 19 anni: infatti la legge tutela tali soggetti fino al raggiungimento della maggiore età, concedendo lo spazio di un anno per svolgere l’accettazione (art. 489 c.c.).
Sotto il profilo operativo, il rappresentante del minore (genitore superstite o un curatore all’uopo nominato) dovrà depositare un ricorso per ottenere dal giudice tutelare l’autorizzazione ad accettare l’eredità col beneficio d’inventario (art. 320 c.c.).
Una volta ottenuta l’autorizzazione, si dovrà redigere l’inventario, indicando tutti i beni caduti in successione e in particolare le utilità che si intendono incassare a breve (quali il saldo attivo del conto corrente, il capitale di una polizza vita, gli investimenti da liquidare).
La procedura è piuttosto rapida, usualmente richiede due-tre mesi di tempo.
Nella successione legittima le quote di eredità sono individuate dalla legge e dipendono dal numero dei beneficiari e dal grado di parentela.
L’eredità si devolve come segue:
Se c’è solo il coniuge, senza figli, genitori e fratelli:
intera eredità
Se ci sono uno o più figli senza il coniuge:
intera eredità in parti uguali
Se ci sono coniuge e un solo figlio, si escludono gli altri parenti:
1/2 al coniuge
1/2 al figlio
Se ci sono coniuge e due o più figli, si escludono gli altri parenti:
1/3 al coniuge
2/3 ai figli (da dividere in parti uguali)
Se ci sono coniuge e fratelli, senza discendenti e ascendenti:
2/3 al coniuge
1/3 ai fratelli (da dividere in parti uguali)
Se ci sono coniuge e genitori, senza discendenti e fratelli
2/3 al coniuge
1/3 ai genitori (in parti uguali)
Se ci sono coniuge, fratelli e genitori, senza discendenti:
2/3 al coniuge
1/3 a genitori e fratelli (la quota di eredità sarà divisa per capi, ma ai genitori spetta almeno 1/4)
Se ci sono fratelli e genitori, senza coniuge e discendenti:
l’intera eredità sarà divisa per capi , ma ai genitori spetta almeno 1/2
In mancanza di coniuge, discendenti, ascendenti e fratelli o loro discendenti, l’intera eredità è devoluta ai più prossimi tra gli altri parenti entro il sesto grado.
Se non ci sono parenti, l’eredità è devoluta allo Stato.
Le quote ereditarie che spettano ai chiamati possono risultare diverse nelle due ipotesi di successione legittima e successione testamentaria.
Infatti il testatore può modificare in parte o in tutto le quote di eredità previste dalla legge (anzi, di solito è proprio questo il motivo per cui un soggetto sceglie la forma del testamento per disporre del patrimonio dopo la sua morte).
Qualora non vi siano soggetti legittimari (ovverosia quei soggetti che vengono tutelati dalla legge in quanto in un particolare rapporto con il defunto) la libertà del testatore sarà massima, potendo nominare erede qualsiasi persona e per qualsiasi quota.
Invece se ci sono i legittimari, la legge riserva loro una quota minina di eredità, che non può essere modificata dal testatore.
Le quote dei legittimari
Le quote riservate ai legittimari sono le seguenti:
Se c’è solo il coniuge:
1/2
Se c’è un solo figlio, senza il coniuge:
1/2
Se ci sono due o più figli, senza il coniuge:
2/3 (da dividere in parti uguali)
Se ci sono coniuge e un solo figlio, si escludono gli altri parenti:
1/3 al coniuge
1/3 al figlio
Se ci sono coniuge e due o più figli, si escludono gli altri parenti:
1/4 al coniuge
1/2 ai figli (da dividere in parti uguali)
Se ci sono coniuge e genitori, senza figli:
1/2 al coniuge
1/4 ai genitori (da dividere in parti uguali)
Se ci sono i genitori, senza figli e coniuge:
1/3 (da dividere in parti uguali)
In presenza di un testamento, al di fuori degli eredi indicati dal defunto,
gli altri parenti non hanno mai alcun diritto sull’eredità.
Un problema che capita spesso è che i soggetti legittimari si ritengano lesi nella quota di eredità assegnata dal testatore.
Cosa si può fare nel caso di lesione della legittima ?
I soggetti legittimari, nell’ipotesi in cui ritengano si sia operata in loro danno una lesione della quota riservata dalla legge, possono impugnare il testamento, facendo ricondurre alla legalità le quote ereditarie.
La lesione della legittima può essere totale o parziale.
Nel caso di lesione totale si potrà parlare di preterizione dell’erede, in quanto quest’ultimo non sarà stato affatto indicato quale beneficiario di alcuna quota, venendo escluso totalmente dalla successione.
Più frequentemente però si tratterà di una lesione parziale, con compromissione della quota ereditaria assegnata all’erede.
Il meccanismo previsto dalla legge per ricondurre ad equità il testamento è quello della riduzione delle disposizioni eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre.
E’ bene precisare che con tale operazione il testamento rimarrà valido, ma verrà modificato dal giudice operando una conformità alle previsioni di legge sotto il profilo della misura delle quote assegnate.
Si ha lesione della legittima anche qualora il defunto in vita abbia svolto donazioni per un valore eccedente quello della quota di cui poteva disporre.
Anche i legati (che sono assegnazioni testamentarie dirette di beni, a favore di soggetti che non assumono la qualità di eredi) possono ledere la legittima ed essere sottoposti a riduzione.
Testamento senza indicazione di quote
Un problema particolare può essere posto dall’attribuzione diretta da parte del testatore dei beni, senza indicazione di una quota ideale come previsto dal codice civile. In tal caso si dovrà ripercorrere a contrario il percorso logico svolto dal testatore, c0sì da risalire – attraverso la valorizzazione del suo patrimonio – alle quote ideali di fatto presupposte. Si tratterà quindi di dare un valore all’intero patrimonio nonché ai singoli beni, per fare poi una proporzione tra il valore dei beni assegnati a ciascun erede e l’intero patrimonio: in tal modo si potrà individuare la quota ideale di fatto assegnata dal testatore.
I chiamati all’eredità (sia per legge sia per testamento) non sono obbligati ad accettarla.
Essi in fatti possono rinunciare alla stessa, senza obbligo di dare alcuna motivazione.
Usualmente si consiglia di rinunciare quando nell’asse ereditario sono comprese passività (debiti) che superano il valore delle attività, rendendo sconveniente l’acquisto del patrimonio devoluto.
Capita però che si voglia rinunciare per consentire ai propri discendenti (figli o nipoti) di accettare, evitando in futuro un doppio trasferimento e una doppia tassazione. Questo è possibile se non è stata prevista la sostituzione del rinunciante nel testamento (art. 467 c.c.) oppure, nella successione legittima, se ci sono i presupposti per applicare l’istituto della rappresentazione: chi rinuncia dev’essere figlio, fratello o sorella del defunto.
Se non si può applicare la rappresentazione, la quota devoluta al rinunciante si accrescerà agli altri chiamati (art. 522 c.c.).
Il termine per rinunciare è pari a quello per accettare, quindi è di 10 anni.
Questo però a patto di non essere incorsi in una delle ipotesi di accettazione tacita: per questo motivo si consiglia di rinunciare entro 3 mesi dalla morte del soggetto, specie quando si è nel possesso dei beni del defunto.
La rinuncia richiede la forma dell’atto pubblico, che potrà essere redatto dal notaio oppure dal cancelliere del tribunale.
L’operazione non è affatto gratuita, in quanto si deve pagare l’imposta di registro (oltre a qualche marca da bollo).
La divisione dell’eredità rappresenta uno dei momenti più delicati della successione per causa di morte.
Infatti è proprio questa la fase in cui l’erede vede trasformare la sua quota ideale all’eredità in una quota reale costituita da beni in natura.
Per giungere a tale risultato gli eredi devono confrontarsi e spesso giungono a scontrarsi per vari motivi.
Il dialogo coinvolge dapprima la correttezza della quota teorica con la quale ciascun erede ha diritto a partecipare alla divisione dell’eredità.
Poi passa alla considerazione dei valori da attribuire ai singoli beni caduti in successione e che compongono l’asse ereditario.
Infine termina con la verifica dell’interesse degli eredi a ricevere i beni in natura (qualora possibile e salvo il diritto al conguaglio in ipotesi di differenza di valori) ovvero il loro controvalore in denaro, ciò che si traduce nella volontà di acquistare piuttosto che vendere la propria quota di eredità agli altri.
Qualora per ottenere la divisione dell’eredità non si raggiunga un accordo, sarà necessario chiedere la divisione giudiziale.
La dichiarazione di successione
Tra gli obblighi cui gli eredi sono tenuti rientra quello di redigere e presentare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione.
Si tratta di un atto tributario che serve per far pagare le imposte di successione (che colpiscono il trasferimento dei beni dal defunto agli eredi).
Si precisa che la dichiarazione di successione non comporta, secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità, alcuna accettazione dell’eredità. Questo perché si tratta di un atto obbligatorio per legge e con una finalità ben specifica, che esula dall’ambito dei rapporti sostanziali, rimanendo limitati all’interno degli effetti tributari.
Attualmente il termine per il deposito della dichiarazione è di un anno dalla morte.
Per la misura delle imposte di successione (ma non per quelle ipotecarie e catastali che gravano sugli immobili), i principi in materia prevedono una franchigia per i parenti più prossimi.
I parenti più lontani saranno assoggettati ad imposte maggiori all’aumentare del grado di parentela.
I rapporti con le banche
Si segnala la consuetudine delle banche o altri istituti che detengano somme intestate al defunto, di pretendere la copia della dichiarazione di successione al fine di consentire lo svincolo dei beni a favore degli eredi.
Pertanto gli eredi, al fine di entrare nel possesso delle somme di denaro contenute nel conto corrente del defunto, dovranno prima presentare la dichiarazione di successione e soltanto successivamente potranno ottenere la liquidazione dalla banca. Lo stesso valga per gli altri rapporti in essere con gli istituti di credito, quali investimenti in azioni, obbligazioni, fondi comuni di investimento.
I rapporti con le imprese di assicurazione
Di solito i rapporti con le compagnie di assicurazione sono diversi da quelli con le banche: per lo più si tratta di polizze vita (o di investimento) contratte dal defunto a favore di soggetti indicati quali beneficiari nella polizza stessa.
Le polizze vita hanno un regime autonomo rispetto alla successione, consentendo di indicare come beneficiari anche soggetti che non rientrano tra gli eredi per legge o per testamento.
Quindi la compagnia è interessata alle questioni contrattuali piuttosto che a quelle successorie, chiedendo i documenti che sono utili ai fini dell’operatività della polizza vita.
Per esempio, oltre al certificato di morte e alla documentazione anagrafica, se la morte sia derivata da malattia o da incidente stradale, chiederà copia della cartella clinica, per verificare che l’evento dedotto in contratto (la morte) non derivi da malattia o stato morboso preesistenti rispetto alla stipula del contratto.
Qualora tra i beneficiari siano compresi soggetti minori d’età, al compagnia per poter procedere al pagamento delle somme indicate in contratto chiede la copia dell’autorizzazione del giudice tutelare.
Pertanto il rappresentante del minore dovrà depositare un ricorso per ottenere dal giudice tutelare l’autorizzazione ad accettare l’eredità col beneficio d’inventario (art. 320 c.c.). Una volta ottenuta l’autorizzazione, dovrà redigere l’inventario, indicando anche l’esistenza della polizza vita da riscuotere.
La procedura è piuttosto rapida, usualmente richiede due-tre mesi di tempo.