Il danno morale era una categoria giuridica definita come pregiudizio non patrimoniale che colpisce la persona in sé, nelle sue manifestazioni umane.
Si facevano rientrare in tale ambito il danno biologico, il dolore fisico o la menomazione, il patema o turbamento d’animo, la salute, la reputazione, la riservatezza, l’immagine (anche commerciale), la dignità.
Si tratta per lo più di diritti costituzionalmente protetti, ovvero che richiamano posizioni soggettive previste dalla Costituzione italiana.
Sono lesioni della persona in sé, senza che abbia rilevanza la capacità economica dell’individuo.
Il fondamento giuridico del danno morale
Il fondamento giuridico della categoria era fondato sull’art. 2059 c.c, intitolato ai danni non patrimoniali.
Il testo dell’articolo è piuttosto scarno e non riporta definizione alcuna della categoria: esso si limita a dire che “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.
Tradizionalmente si è sempre interpretata l’espressione come riferita alle ipotesi di reato, in quanto il codice penale all’art. 185 prevede proprio il risarcimento di tale tipo di danno (“Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”).
Nel corso del tempo i giudici di legittimità hanno fornito un’interpretazione più ampia del tema.
L’assorbimento nel danno non patrimoniale
Il solco interpretativo è mutato radicalmente nel 2008, allorché la Suprema Corte ha azzerato le precedenti categorie del danno morale a favore del danno non patrimoniale (si veda la storica sentenza detta “di San Martino”, Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11-11-2008, n. 26972).
Infatti secondo il nuovo indirizzo non esistono sottocategorie del danno non patrimoniale alla persona, essendo tutte le precedenti qualificazioni assorbite nel nuovo e più ampio concetto.
L’evoluzione ha toccato principalmente il danno esistenziale, che si era affacciata con forza quale nuova sottospecie del danno morale, quale un’autonoma voce di danno liquidabile.
Dal 2008 quindi la Cassazione ha ricondotto ogni aspetto lesivo della sfera della persona nell’alveo del danno non patrimoniale.
Al di là delle mere classificazioni, ciò che importa all’operatore del diritto e alla persona che venga lesa da un incidente stradale è la risarcibilità del danno effettivamente patito.
Quindi sotto il profilo pratico non si potrà più svolgere una domanda di risarcimento distinguendo le molteplici voci di danno un tempo esistenti, operandone una sommatoria matematica finale.
Si dovrà al contrario, indicare un’unica voce di liquidazione, distingendo al suo interno le sue varie componenti unicamente allo scopo di giustificare la misura risarcitoria richiesta.
In pratica è come dire che la somma finale è sempre quella, mentre ciò che cambia è il calcolo cui si perviene ad essa.
Sotto il profilo della prova invece nulla cambia, perché è sempre necessario fornire adeguato sostegno alle istanze di pagamento, in maniera puntuale e senza automatismi.
Questo principio però può subire delle eccezioni nel caso dell’utilizzo di presunzioni (come riconosciuto da Cassazione Civile, sez. III, sentenza 23/03/2016 n° 5691).
Il danno morale negli incidenti stradali
Quando un incidente stradale provoca lesioni personali o la morte della persona, il danneggiato subisce un danno morale, una sofferenza psicologica che si distingue da quella derivante dalla menomazione fisica in sé, in quanto non produce uno stato di malattia, bensì un’alterazione dell’equilibrio emotivo.
Nei tempi recenti si è voluto attribuire a questo tipo di danno la qualificazione di danno non patrimoniale, che rappresenta una categoria giuridica molto ampia entro cui vengono fatte confluire tutte le tipologie di danno che non hanno natura patrimoniale.
Nel linguaggio comune si continua a parlare di danno morale e in effetti, per la gente comune questo termine risulta di più facile comprensione.
Esempi di danno morale da sinistro stradale
Per capire a grandi linee quando si presenta un danno morale quale conseguenza di un incidente stradale, si possono fare i seguenti esempi.
In presenza di lesioni personali:
- il danno alla persona può dar luogo a una sofferenza psicologica quando abbia un’entità non minima, quindi abbia una certa gravità. Maggiore è la gravità della lesione e maggiore può essere il danno morale che ne scaturisce;
- si pensi a chi subisce l’amputazione di una mano, di un braccio, a chi rimanga zoppo, a chi non riesca più a stendere completamente il braccio, a chi patisca lo spostamento di una vertebra, a chi abbia fratture agli arti o multiple.
Per quanto riguarda il caso del cosiddetto “colpo di frusta”, ipotesi molto frequente in caso di tamponamento tra veicoli e che un tempo veniva liquidato in maniera generosa dalle compagnie di assicurazione, vi è da dire che da qualche anno è venuto meno ogni automatismo di pagamento del danno morale, in quanto si tratta di una lesione che di solito non comporta un’entità così elevata di sofferenza da dar luogo al danno morale. Ma è concessa la prova contraria, nel senso che nei casi gravi tale danno può essere ancora riconosciuto, come quando il danneggiato patisca lo spostamento di una vertebra cervicale.
In presenza della morte di una persona:
- quando muore una persona, i suoi familiari subiscono sempre un danno morale risarcibile, in quanto per fatto notorio ciascun essere umano soffre per il distacco definitivo da una persona cara. Si tratta pertanto di una presunzione, che si fonda sul grado di parentela tra i soggetti coinvolti.
- la misura del danno da risarcire viene individuata a seconda del grado di parentela, nel senso che più il legame è vicino, maggiore sarà il risarcimento del danno morale.
- si pensi alla morte di un figlio, di un genitore, del coniuge, di un nipote.
Di solito sono ammessi anche altri soggetti a provare di avere una relazione affettiva con il soggetto defunto, così da poter vantare il risarcimento di un danno morale. Però non si beneficia di alcun automatismo o presunzione, dovendosi dimostrare in concreto il particolare rapporto sentimentale, la comunanza di vita, la relazione costante e profonda.
Per esempio da qualche tempo la giurisprudenza, in presenza di tali presupposti di fatto, ha ammesso alla richiesta di risarcimento il convivente more uxorio.