Se un erede o un chiamato all’eredità ha svuotato il conto corrente del defunto prima della morte, gli altri eredi possono agire per cercare di recuperare le somme indebitamente sottratte.
Di solito chi si è impossessato di tali somme non è disponibile a restituirle spontaneamente, per cui si renderà necessario procedere con un’azione giudiziale.
Sarà però necessario distinguere varie ipotesi, allo scopo di chiarire se nel caso concreto vi sia stata o meno la partecipazione o l’assenso anche del defunto.
Un caso molto frequente nella pratica è quello in cui il defunto abbia svolto la cointestazione dei rapporti in favore del futuro erede, questione che rende più complicato per gli altri eredi scegliere la giusta azione giudiziale.
Esempio concreto: la cointestazione del conto corrente bancario e del libretto di risparmio postale.
Facciamo un esempio concreto tratto dall’analisi di casi realmente accaduti.
Un figlio, allorché il genitore era in vita, aveva ricevuto la cointestazione fittizia o di comodo del conto corrente bancario e del libretto di risparmio postale.
Lo scopo doveva essere quello di aiutare il genitore nell’ipotesi in cui avesse difficoltà di provvedervi da solo, a causa dei problemi legati all’età avanzata o al suo stato di salute.
A un certo punto il figlio, sempre quando il genitore era ancora in vita, grazie alle facoltà concesse dalla cointestazione dei rapporti, si è appropriato indebitamente di rilevanti somme di denaro contenute nei due rapporti bancario e postale, senza alcuna autorizzazione da parte del genitore e senza altre giustificazioni.
Le operazioni avvenivano tramite operazioni di giroconto su altro rapporto intestato al figlio presso il medesimo istituto.
Solo dopo la morte del genitore, gli altri figli hanno potuto apprendere che il conto corrente era stato svuotato, come anche il libretto postale. che presentavano un saldo pari quasi allo zero.
Pertanto i figli chiamati all’eredità hanno chiesto alla banca e alla posta di avere copia dei movimenti degli ultimi dieci anni.
Ottenuti tali documenti, i figli hanno potuto scoprire che qualche anno prima della morte, uno di loro aveva svuotato i conti del genitore con operazioni di giroconto in proprio favore.
Inutili sono stati i tentativi di ottenere bonariamente la restituzione delle somme indebitamente sottratte al genitore.
Rimedi contro l’appropriazione indebita di uno degli eredi
Chi vuole recuperare le somme di denaro sottratte al defunto dal coerede può agire in giudizio contro di lui non per far valere un diritto proprio, quanto per far valere i diritti del defunto stesso quando era in vita.
Infatti il defunto che ha subìto un atto illecito, quando era in vita avrebbe potuto agire direttamente contro il responsabile, allo scopo di ottenere la sua condanna alla restituzine o al risarcimento dei danni.
Si ritiene che l’onere della prova gravi sull’incaricato stesso, trattandosi di responsabilità contrattuale (in base al noto principio dell’inversione dell’onere probatorio), quindi gli eredi sarebbero agevolati nella loro posizione processuale.
Sui poteri del cointestatario del contratto bancario.
Come espresso più volte dalla Corte di Cassazione, va escluso che, nei rapporti interni di un contratto bancario, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto.
Pertanto l’erede al massimo avrebbe potuto disporre della metà del saldo, ma non certo dell’intero saldo attivo.
Se il defunto aveva cointestato il conto corrente o il libretto postale
Se il defunto aveva cointestato il conto corrente o il libretto postale in favore dell’erede, può essere indice di due situazioni: o c’è stata una donazione oppure c’è stato un incarico di gestione delle somme.
Le due situazioni comportano due diversi modi di operare sotto il profilo del rimedio da invocare nel processo.
Se l’intestazione fosse indice di una donazione intervenuta senza la necessaria forma dell’atto pubblico, gli altri eredi potrebbero lamentare la nullità del trasferimento per difetto di tale forma, oppure pretendere che si tenga conto delle somme ricevute come forma di donazione indiretta, operazione che comporta l’obbligo del coerede di conferire alla propria quota le somme già incassate quando il defunto era in vita.
Se invece l’intestazione fosse avvenuta nell’ambito di un incarico (di solito orale o tacito) di gestione delle somme nell’interesse del defunto, l’eventuale appropriazione da parte dell’incaricato costituirebbe l’inadempimento di un obbligo contrattuale.
In quest’ipotesi l’incaricato ha per legge l’obbligo di rendiconto verso il defunto o verso i suoi eredi, per cui dovrà fornire la prova di aver utilizzato le somme secondo gli impegni assunti o le direttive impartire dal defunto, in ogni caso in favore di quest’ultimo.
Si ritiene che l’onere della prova gravi sull’incaricato stesso, trattandosi di responsabilità contrattuale (in base al noto principio dell’inversione dell’onere probatorio), quindi gli eredi sarebbero agevolati nella loro posizione processuale.
Sui poteri del cointestatario del contratto bancario.
Come espresso più volte dalla Corte di Cassazione, va escluso che, nei rapporti interni di un contratto bancario, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto.
Pertanto l’erede al massimo avrebbe potuto disporre della metà del saldo, ma non certo dell’intero saldo attivo.