Il fermo tecnico del veicolo durante le riparazioni non sempre determina un danno da mancato utilizzo.
La Suprema Corte si è soffermata ancora una volta sul concetto di
fermo tecnico
del veicolo in riparazione e sulla risarcibilità del danno asseritamente derivante dal suo mancato utilizzo.
Secondo Cass. civ. Sez. III, Sent., 14/10/2015, n. 20620 “Il danno consistente nel costo sostenuto per riparare un autoveicolo è ben diverso da quello patito per non avere potuto disporre del mezzo durante il tempo necessario per le riparazioni, ovvero durante il tempo in cui il veicolo fu tenuto a disposizione dell’assicuratore del responsabile, per le necessarie verifiche.
Il danno in esame non è in re ipsa e non può essere ritenuto sussistente per il solo fatto che un veicolo non abbia circolato perchè in riparazione.
Deve pertanto concludersi nel senso che:
(a) l’indisponibilità d’un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato;
(b) la prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo”.
Nell’articolata motivazione, la Suprema Corte ha esaminato gli opposti orientamenti che nel corso del tempo si erano formati sul tema.
Si riporta la parte della sentenza, in quanto di sicura utilità per gli addetti ai lavori.
“7.4. Da oltre quarant’anni (dal 1972, per l’esattezza) nella giurisprudenza di questa Corte si registra un contrasto irrisolto sulla prova del c.d. danno da fermo tecnico: vale a dire del pregiudizio patito dal proprietario di un veicolo per non averne potuto disporre durante il tempo necessario alle riparazioni.
7.4.1. Secondo un primo e più antico orientamento, il danno da fermo tecnico può essere liquidato “anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato dei veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso a cui esso era destinato”.
Questo orientamento si fonda sull’assunto secondo cui il proprietario di un veicolo a motore, durante il tempo delle riparazioni, sopporta necessariamente una perdita economica pari:
(a) alla tassa di circolazione;
(b) al premio di assicurazione;
(c) al deprezzamento del veicolo.
La sentenza “capostipite” in tal senso è rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 2109 del 23/06/1972, Rv. 359341; in seguito, nello stesso senso, si sono pronunciate Sez. 3, Sentenza n. 13215 del 26/6/2015, non massimata; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22687 del 04/10/2013, Rv.
629051; Sez. 3, Sentenza n. 9626 del 19/04/2013, Rv. 626034; Sez. 3, Sentenza n. 6907 del 8.5.2012, non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 23916 del 09/11/2006, Rv. 593159: Sez. 3, Sentenza n. 17963 del 14/12/2002, Rv. 559270; Sez. 3, Sentenza n. 12908 del 13/07/2004, Rv.
574496; Sez. 3, Sentenza n. 3234 del 03/04/1987, Rv. 452307; Sez. 3, Sentenza n. 4009 del 28/08/1978, Rv. 393612; Sez. 3, Sentenza n. 1737 del 05/05/1975, Rv. 375375.
7.4.2. Per un diverso e più recente orientamento, invece, il danno da fermo tecnico non può considerarsi sussistente in re ipsa, quale conseguenza automatica dell’incidente. Esso può essere risarcito soltanto al cospetto “di esplicita prova” non solo del fatto che il mezzo non potesse essere utilizzato, ma anche del fatto che il proprietario avesse davvero necessità di servirsene, e sia perciò dovuto ricorrere a mezzi sostitutivi, ovvero abbia perso l’utilità economica che ritraeva dall’uso del mezzo.
Questo orientamento, inaugurato da Sez. 3, Sentenza n. 970 del 07/02/1996, Rv. 495753, è stato in seguito ribadito da Sez. 3, Sentenza n. 12820 del 19/11/1999, Rv. 531285 e da Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15089 del 17.7.2015, non massimata.
7.4.3. Ritiene questa Corte che il primo di tali orientamenti non possa essere condiviso, perchè tutti e sei gli assunti su cui si fonda sono erronei.
7.4.4. E’ erronea, in primo luogo, l’affermazione secondo cui il danno causato dall’indisponibilità d’un veicolo sia in re ipsa: nel nostro ordinamento infatti non esistono danni in rebus ipsis, e nessun risarcimento è mai esigibile se dalla lesione del diritto o dell’interesse non sia derivato un concreto pregiudizio (ex multis, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 24474 del 18/11/2014, Rv. 633450; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 18812 del 05/09/2014, Rv. 632941; Sez. 1, Sentenza n. 23194 del 11/10/2013, Rv. 628570; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21865 del 24/09/2013, Rv. 627750).
Il danno in senso giuridico, infatti, non può dirsi esistente sol perchè sia stato vulnerato un diritto. La lesione del diritto è il presupposto del danno, non il danno in senso giuridico. Quest’ultimo vi sarà soltanto se dalla lesione del diritto sia altresì derivata una perdita, patrimoniale o non patrimoniale che sia.
7.4.5. E’ erronea, in secondo luogo, l’affermazione secondo cui una volta dimostrato che il veicolo sia stato inutilizzabile per un certo numero di giorni, il danno può essere per ciò liquidato “in via equitativa” ex art. 1226 c.c..
Una simile affermazione costituisce anzi una falsa applicazione del precetto di cui all’art. 1226 c.c.. Tale norma, infatti, non può costituire un commodus discessus per l’attore che non provi l’esistenza del danno. La liquidazione equitativa è consentita quando il danno sia certo nella sua esistenza, ma indimostrabile nel suo ammontare, mentre l’orientamento qui contestato ricorre all’art. 1226 c.c. , per liquidare un danno che è addirittura incerto nella sua stessa esistenza.
7.4.5. E’ erronea, in terzo luogo, l’affermazione secondo cui la sosta forzosa del veicolo comporta necessariamente un danno, pari alla spesa sostenuta dal proprietario per la c.d. “tassa di circolazione”.
La tassa di circolazione, già prevista dal D.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39 , è stata trasformata in tassa sulla proprietà dal D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, art. 5, comma 29, (convertito nella L. 28 febbraio 1983, n. 53 ).
La norma appena ricordata stabilisce che la tassa è dovuta per il solo fatto dell’iscrizione del veicolo nel pubblico registro automobilistico, ed a prescindere dalla sua circolazione.
Non è quindi corretto sostenere che la tassa sia stata “pagata invano” nel caso di sosta forzosa del veicolo, perchè il fatto costitutivo dell’obbligazione tributaria è la proprietà del veicolo, non la sua circolazione.
7.4.6. E’ erronea, in quarto luogo, l’affermazione secondo cui la sosta forzosa del veicolo comporta necessariamente un danno, pari al premio assicurativo “inutilmente pagato”.
Tale affermazione è doppiamente erronea.
In primo luogo, è erronea perchè il rischio che il veicolo possa causare danni a terzi non viene meno durante il periodo della riparazione (ad es., nel caso di incendio o di danni causati a terzi durante il collaudo), e dunque il premio non è “inutilmente pagato”.
In secondo luogo è erronea perchè durante il periodo della riparazione il proprietario potrebbe chiedere all’assicuratore la sospensione dell’efficacia della polizza, sicchè, ove non si avvalga di questa semplice precauzione, il pagamento del premio non potrebbe costituire un danno risarcibile, perchè dovuto a negligenza del danneggiato ( art. 1227 c.c.).
7.4.7. E’ erronea, in quinto luogo, l’affermazione secondo cui il danno da fermo tecnico sarebbe in re ipsa a causa del “deprezzamento del veicolo”.
In primo luogo, infatti, il deprezzamento è causato dalla necessità della riparazione, non dalla durata di questa.
In secondo luogo, il deprezzamento d’un veicolo non è una conseguenza necessaria del fermo tecnico, ma un danno eventuale e da accertare caso per caso. Così, ad esempio, la riparazione d’un veicolo obsoleto e malandato potrebbe addirittura fargli acquistare un valore superiore a quello che aveva prima del sinistro.
7.4.7. E’ inaccettabilmente erronea, infine, l’affermazione secondo cui l’indisponibilità del veicolo durante il tempo delle riparazioni costituirebbe un danno patrimoniale “a prescindere dall’uso a cui esso era destinato”.
Non potere utilizzare un veicolo per svago o diporto non costituisce una perdita patrimoniale, ma un pregiudizio d’affezione: come tale non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c. , mancando la lesione d’un interesse della persona costituzionalmente garantito”.